Pagliacci

Figlio di un giudice, il giovane Leoncavallo rimane colpito dal caso di un delitto d’onore in una compagnia di attori girovaghi. La cronaca e l’esperienza diretta entrano prepotentemente nell’opera come nella letteratura di Verga e Zola. L’irrompere della realtà, senza più “inventare il vero” sul modello verdiano, è un principio che non prescinde dal filtro intellettuale dell’artista: solo un anno dopo Pagliacci, nel 1893 debutta a Mosca Aleko di Rachmaninov, tratto da Puškin e con molti punti in comune con Leoncavallo. Questi nello scrivere il libretto utilizza l’antico espediente del Prologo che introduce la vicenda ed enuncia la poetica dell’autore, mentre fa di Tonio uno Jago plebeo mosso da bassi istinti. Il vero si continua a inventare, senza idealizzarlo o nobilitarlo, bensì indossandone la maschera e restituendo un’immagine volutamente ruvida. Non senza ambizione: così cambiano i tempi, fra melodie appassionate, espressioni realistiche e brutali, contrasti di stile e intenzioni sofisticate.

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