Giovanni Scifoni

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Come si fa a parlare di San Francesco D’Assisi senza essere mostruosamente banali? Come farò a mettere in scena questo spettacolo senza che sembri unacanzone di Jovanotti? Se chiedo a un ateo anticlericale “dimmi un santo che ti piace” lui dirà: Francesco. Perché tutti conoscono San Francesco? Perché sono stati scritti decine di migliaia ditesti su di lui? Perché è così irresistibile? E perché proprio lui? Non era l’unico apraticare il pauperismo. In quell’epoca era pieno di santi e movimenti eretici cheavevano fatto la stessa scelta estrema, che aveva di speciale questo coatto diperiferia piccolo borghese mezzo frikkettone che lascia tutto per diventare straccione? Aveva di speciale che era un artista. Forse il più grande della storia. Le sue prediche erano capolavori folli e visionari. Erano performance di teatro contemporaneo. Giocava con gli elementi della natura, improvvisava in francese, citando a memoria brani dalle chanson de geste, stravolgendone il senso, utilizzava il corpo, il nudo, perfino la propria malattia, il dolore fisico e il mutismo. Il 24 dicembre celebreremo gli 800 anni del presepe di Greccio, la più geniale (e più copiata) invenzione di Francesco. Ma all’epoca non c’era la siae.

Il monologo, orchestrato con le laudi medievali e gli strumenti antichi di Luciano diGiandomenico, Maurizio Picchiò e Stefano Carloncelli, si interroga sull’enorme potere persuasivo che genera su noi contemporanei la figura po di Francesco, e percorre la vita del poverello di Assisi e il suo sforzo ossessivo di raccontare ilmistero di Dio in ogni forma, fino al logoramento fisico che lo porterà alla morte, dalla predica ai porci fino alla composizione del cantico delle creature, il primo componimento lirico in volgare italiano della storia, Francesco canta la bellezza di frate sole dal buio della sua cella, cieco e devastato dalla malattia. Nessuno nella storia ha raccontato Dio con tanta geniale creatività. Francesco sapeva incantare il pubblico, folle sterminate, sapeva far ridere, piangere, sapeva cantare, ballare. Il vero problema con cui mi sono dovuto scontrare preparando questo spettacolo è che Francesco era un attore molto più bravo di me. E poi il gran finale, la morte, il rapporto di fratellanza, quasi di amore carnale che aveva Francesco con Sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare. E neanche il pubblico potrà scappare da questo finale, incatenati sulle poltrone del teatro saranno costretti anche loro ad affrontare il vero, l’ultimo, grande tabù della nostra contemporaneità: non siamo immortali.

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