Fu il Teatro Regio ad aprire le porte del successo a Puccini allestendo nel 1893 la prima rappresentazione assoluta di Manon Lescaut. A quell’epoca il compositore toscano aveva trentadue anni e solo due tiepidi successi all’attivo: con la nuova opera doveva dimostrare il proprio talento e competere con uno degli operisti di maggior successo del tempo, Massenet, che nel 1884 aveva composto un fortunatissimo lavoro ispirato al romanzo scritto un secolo e mezzo prima dall’abate Prévost: Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut. Quella storia aveva conquistato generazioni di lettori per i vari episodi di gusto libertino e per il carattere intrigante della protagonista, che si comporta da criminale senza essere consapevole del male che causa.
Fra le mani di Puccini, la storia di Manon, una femme fatale settecentesca innamorata follemente sia dello studente Des Grieux sia del lusso, diventa un dramma dal ritmo serrato, articolato in una successione di pannelli contrastanti: dall’idillio iniziale, che mostra la coppia innamorarsi tra cori di ragazzi che inneggiano alla gioventù e all’amore, si passa allo sfarzoso appartamento parigino dove Manon, mantenuta da Geronte, vive tra balli e cortigiani, per poi mostrare la giovane in catene, condannata per prostituzione all’esilio in America. Solo un intermezzo sinfonico, celebre quanto struggente, offre un respiro prima del finale tragico. Puccini affermava di sentire questo dramma «all’italiana, con passione disperata»: in pagine come la preghiera di Des Grieux «No! no!… pazzo son!» e «Sola… perduta, abbandonata» di Manon lo dimostrò mirabilmente.