RUBEDO

«La rubedo – o Opera al Rosso, per citare la Yourcenar – designa in alchimia l’ultima delle fasi di trasmutazione chimica che culminano nel compimento della pietra filosofale e nella conversione dei metalli vili in oro. Questo passaggio avviene per sublimazione, sotto l’effetto del fuoco o dello Spirito”. Da questa suggestione trae ispirazione il testo composto da Giuseppe Affinito: qui la materia alchemica è l’anima e l’opera da compiersi, preziosa come l’oro, prodigiosa come l’eternità, è quella dell’individuazione, dell’ “essere sé».

La figura di un giovane poeta omosessuale si aggira in una stanza trasfigurata, uno spazio della memoria, delle domande, dei silenzi, tra i ricordi, tra i propri pezzi scomposti, le tracce di sé negli oggetti, nei volti, nelle persone. Prende voce la partitura di un’anima acerba in cerca di un suo calibro, della sua costruzione; una specie di gioco, ironico e dolcissimo, che porta il protagonista a confrontarsi con la sua storia, i dolori, le gioie e la vitalità che lo hanno accompagnato nella strada verso la scoperta e l’accettazione di sé. Tra dialoghi impossibili, soliloqui, travestimenti, canzoni e versi, lo vediamo rappresentare un piccolo valzer della memoria, un’accorata sinfonia di vita antica e nuova, una festa di parole da offrire e condividere. Una sorta di monologo interiore per riflettere su una condizione esistenziale – che è, anche, intimamente generazionale: quella di un disperato e disperante desiderio di scoprirsi, amarsi e dare un senso al proprio stare al mondo.

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